Erdogan: tra soppressione di animali randagi e minacce agli stati confinanti
a cura di Carlo Coppola
Lo scorso 24 luglio 2024 un disegno di legge turco, volto a regolamentare i milioni di cani randagi del paese, ha iniziato il suo iter in parlamento. Molti difensori dei diritti degli animali temono questi cani finiranno uccisi, saranno torturti e seviziati o moriranno di inedia e stenti in canili lager sporchi e sovraffollati.
Il Presidente della Repubblica di Turchia, che in questi ultimi giorni sta facendo sentire la sua voce sempre più attivamente a livello nazionale ed internazionale, ha incoraggiato i legislatori del suo partito a proseguire nella proposta, dopo che una commissione parlamentare diretta dal medesimo partito ha approvato la legittimità preventiva della proposta di legge già martedì sera.
L'assemblea parlamentare plenaria si riunirà per la votazione finale nei prossimi giorni. Il governo stima che circa 4 milioni di cani randagi vaghino per le strade e le aree rurali della Turchia. Sebbene molti siano innocui, continua la proposta di legge, un numero crescente si sta radunando in branchi e numerose persone sono state attaccate a Istanbul e altrove. Si tranquillizzino, invece, gli amanti dei gatti. La nota popolazione dei felini di strada del paese non è al centro del disegno di legge, diversamente da quanto inizialmente ventilato.
Erdogan ha osservato che i cani randagi "attaccano bambini, adulti, anziani e altri animali. Attaccano greggi di pecore e capre, causano incidenti stradali". La proposta di legge impone ai comuni di raccogliere i cani randagi e di "ospitarli in rifugi" in cui dovrebbero esere, quantomeno, sterilizzati. Nella proposta di legge sarebbe, inoltre, contenuta una sezione relativa alla "pietosa eutanasia" degli animali, giustificata dal potenziale rischio epidemiologico portato da esemplari altrettanto "potenzialmente infetti" nei confronti della popolazione umana e di altri animali.
Sempre in relazione ai suoi "scopi umanitari ed ecologici", ieri domenica 28 luglio, il presidente Tayyip Erdogan ha affermato pubblicamente che la Turchia potrebbe entrare in Israele, come ha fatto in passato in Libia e nel Nagorno-Karabakh, anche se non ha specificato che tipo di intervento stia suggerendo. Erdogan, che si è dichiarato sin da subito critico dell'offensiva israeliana a Gaza, ha inserito la discussione sui rapporti con gli stati confinanti in un discorso intorno all’industria bellica e al diritto di difesa del suo paese.
"Dobbiamo essere molto forti in modo che Israele non possa fare queste cose ridicole alla Palestina. Proprio come siamo entrati nel Karabakh, proprio come siamo entrati in Libia, potremmo fare qualcosa di simile a loro", ha specificato Erdogan mentre si trovava a Rize.
"Non c'è motivo per cui non possiamo farlo ... Dobbiamo essere forti in modo da poter adottare queste misure", ha aggiunto Erdogan nel discorso televisivo. Nè i parlamentari del Partito di Erdogan (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) né le autorità di Israele ha rilasciato immediatamente alcun commento.
Resta la gravità delle affermazioni del presidente turco che ormai si sente in diritto di rivelare pubblicamente ciò che ha sempre negato a livello internazionale, ovvero il suo coinvolgimento nella guerra portata dall’Azerbaijan contro gli Armeni del Nagorno Karabakh (Artsakh) e il proprio interessamento diretto nella definitiva destabilizzazione della Libia.
Nel frattempo il suo emulo e alleato presidente dell'Azerbaijan Ilham Heydar oghlu Aliyev continua a minacciare indirettamente lo stato sovrano armeno e estende la sua longa manus anche in Inghilterra dove i suoi soldi arrivano all'Università di Oxford, vengono istituite cattedre dedicate alla storia dell'Azerbaijan, etnia inventata artificialmente sulla base del popolo tartaro, e ridotti strumantalmenti gli insegnamenti dedicati alla storia dell'Armenia millenaria. Al coro pro azero e a questa brutta vicenda partecipa anche "L'Osservatore Romano", giornale del Vaticano, che in un mortifero e sconvolgente silenzio cita la fantomatica e mai esistita popolazione dell'Albania Caucasica, usata come pretesto per giustificare le distruzioni del patrimonio culturale culturale armeno in Artshakh (Nagorno Karabakh) e Nachigevan.