Celebrato a Yerevan l'anniversario della Strage del Parlamento Armeno ma la verità è ancora indicibile
di Carlo Coppola
Anche quest'anno le autorità armene hanno commemorato i tragici fatti del 27 ottobre 1999. Il Primo Ministro Nikol Pashinyan, insieme al presidente della Repubblica Vahagn Khachaturyan e al presidente dell'Assemblea Nazionale Alen Simonyan, hanno deposto fiori al memoriale eretto nel Parco dell'Assemblea nazionale e hanno reso omaggio alla memoria degli statisti e dei politici vittime della strage. Anche le famiglie degli uccisi hanno preso parte alla cerimonia, ma la giustizia non è ancora definitivamente compiuta!
Questa strage ha molte cose in comune con quella in cui fu rapito il presidente Aldo Moro ed eliminata la sua scorta, in via Fani a Roma il 16 marzo 1978. Come nel caso della strage che coinvolse Aldo Moro e la sua scorta, la verità è ancora purtroppo indicibile. Tutti sanno che i nomi dei mandanti di quelle stragi non possono esseri detti apertamente, neppure oggi, ad alta voce, perché al loro suono tremerebbero e si spalancherebbero gli abissi morali che hanno voluto il popolo armeno, come il popolo italiano divisi al loro interno. Per l’Armenia vi è ancora oggi l’eco di quel divario tra corrotti e corruttori, tra minacciati ed estorsori, tra ricchi sempre più ricchi e miserabili sempre più poveri in un misto di connivenze internazionali che in quel tragico 27 ottobre 1999 si davano battaglia dietro le cortine di ferro non ancora cadute.
Nella Strage avvenuta nel Parlamento Armeno persero la vita il Primo Ministro Vazgen Sargsyan, il Presidente del Parlamento Karen (Serobich) Demirchyan, Yuri Bakhshyan, vice presidente dell'Assemblea nazionale Ruben Miroyan, vicepresidente dell'Assemblea nazionale, Leonard Petrosyan, ministro degli affari urgenti, Henrik Abrahamyan, membro del Parlamento, Armenak Armenakyan, comandante militare e membro del Parlamento, Mikayel Kotanyan, economista e membro del Parlamento. All'apparenza solo un regolamento di conti tra nuova e vecchia politica dell'Armenia. Nella scelta di eliminare, accanto ai Padri Nobili della Patria, alcune esatte personalità non di primo piano della politica vanno ricercati i macro interessi dei mandanti. Non un gruppo di persone uccise a caso ma scelte con cura, mentre ad altri fu detto che non era il caso che quel giorno entrassero nella Sala del Parlamento. Per molti anni il futuro e il presente dello Stato sono rimasti le vittime morali di quella strage, con la quale la storia dell'Armenia è cambiata per sempre.
La mano degli assassini materiali era guidata attentamente, se non "telecomandata" in entrambi i casi: gente che fino al giorno prima si sarebbe sparata sui piedi per imperizia e goffaggine era diventata improvvisamente precisa e fredda, calcolatrice fino al millimetro, in grado di muoversi in uno spazio chiuso come un set cinematografico. Questi "tragici ragazzi" con l'arma in pugno, erano forse guidati dalle Erinni, dalle divinità Cotnie, dalle Gorgoni figlie di Forco, dando anche il tempo agli uccisi o ai rapiti di pronunciare i loro testamenti spirituali, come Cristo sul Golgota. I terroristi, "ragazzi invasati con vezzi di intellettualità", erano burattini sotto il giogo e la strumentalizzazione della politica, che governa, che fa affari all'ombra di una Guerra Fredda mai cessata e, come ogni demone che si rispetti, gioca a nascondino, occultando la propria stessa presenza anche a una parte degli stessi esecutori materiali.
Il risultato è comunque spettacolare, o meglio un puro spettacolo. Nel caso Moro è un dramma cinematografico in due parti, con tanto di comparse, motociclisti, barman, aviatori, fiorai presenti o assenti, costumisti, attrezzisti e muratori, fotografi di scena e ciacchisti, registi programmisti della tv di stato, commenti musicali diegetici ed extra diegetici, dilatamenti temporali a conferma degli azzardi registici, esplicitati da continui storture grammaticali, supportate da coreografie impeccabili, consulenze di maestri d'armi e buoni aiuti. Nel secondo caso, quello del 27 ottobre a Yerevan, è un dramma teatrale dove i morti però sono veri. Siamo nell'Armenia post sovietica ed un po' di finto classicismo appagava le masse. Essendo un dramma alla Seneca non vi fu nessuna innovazione nell’idea di spettacolo, nessuna sperimentazione ma solo una riscrittura precisa e rigorosa dell' "Edipo Re", un dramma asciutto, senza introspezione se non quella dell'eroe, colui che i mandanti cercavano distruggere e denigrare agli occhi del popolo. Edipo/Karen da mostrare come il generatore di tutti i mali, ma Edipo non aveva seguaci se non Antigone, e Creonte era pronto ad affermare definitivamente il suo potere scacciando ogni sorta di opposizione. Solo dopo, solo in ultimo, sarebbero arrivate le psicologizzazioni postume e i mea culpa o i pianti da coccodrillo dello Stato. La firma registica del dramma è ben evidente, tanto che il demiurgo, Creonte, esce egli stesso a prendere gli applausi sul palco alla chiusura del sipario, come se fosse stato un Giorgio Armani a fine sfilata (ma con meno capelli): stessa maglietta a maniche corte anche d'inverno a incorniciare un torace luciferino, un corpo di vecchio-giovane, incattivito di palestra, carcere e tanta tanta autodeterminazione!
Il processo ai terroristi è durato per il 2001-2003. 6 militanti, tra cui il loro leader, Nairi Hunanyan, suo fratello Karen Hunanyan e suo zio Vram Galstyan, Derenik Bejanyan, Edik Grigoryan e Ashot Knyazyan condannato al carcere a vita. Hamlet Stepanyan è stato condannato a 14 anni di carcere. In sostanza una specie di famiglia armena comune ma piena di tratti disfunzionali di violenza e di rabbia.
Tra i principali punti oscuri della vicenda vi sono le morti di alcuni membri del commando tutte in circostanze simili. Solo Nairi e Karen Hunanyan, Derenik Bejanyan e sono tutt'ora viventi. Vram Galstyan, secondo la versione ufficiale, si è suicidato nel penitenziario di Nubarashen il 27 aprile 2004. Hamlet Stepanyan, che è stato condannato a 14 anni di carcere, è morto nel maggio 2010 per un attacco di cuore, forse indotto dopo aver bevuto un caffè. Norayr Yeghiazaryan, altro incriminato è morto, poco prima di essere rilasciato, in una cella del penitenziario di Nubarashen, sempre di infarto. Eduard Grigoryan è morto il 3 novembre 2017 all'Erebuni Medical Center, sempre di infarto. L'ultimo in ordine di tempo a morire è stato Ashot Knyazyan nel carcere ancora nel penitenziario di Nubarashen e ancora a causa di un ennesimo infarto, lo scorso 26 agosto 2024. Ma i misteri per un giallo scritto bene non finiscono qui. Vi sono altre morti sospette come quella del responsabile della videosorveglianza della Sala del Parlamento, e la sottrazione di 4 minuti mai ritrovati delle registrazioni. Resta comunque un principio se l'Armenia, se la Repubblica d'Armenia non farà i conti con la Strage del 27 ottobre la sua storia e il suo presente non potranno mai progredire.